Tolkien desiderava distinguere i suoi Elfi, la razza centrale della sua mitologia, dalla concezione generale di elfi o fate del nostro mondo. Nei suoi scritti, sia gli Elfi che gli Uomini sono chiamati Figli di Ilùvatar, perché solo l’Uno (Dio) introdusse il loro tema nella Musica della Creazione (come narrato nell’Ainulindale, pubblicato ne Il Silmarillion). Gli Elfi, che tra i Figli si risvegliarono per primi nella Terra di Mezzo, sono spesso definiti “Primogeniti”, e gli Uomini, che si risvegliarono molto più tardi, “Successivi”. Sebbene gli Elfi siano rappresentati come simili nell’aspetto agli Uomini, hanno capacità e destini diversi, come scrisse Tolkien in una bozza di lettera a Michael Straight: Naturalmente, al di fuori della mia storia, Elfi e Uomini sono solo aspetti diversi dell’Umano e rappresentano il problema della Morte visto da una persona finita ma volitiva e consapevole di sé.
In questo mondo mitologico, Elfi e Uomini sono affini nelle loro forme incarnate, ma nella relazione dei loro “spiriti” con il mondo nel tempo rappresentano “esperimenti” diversi, ognuno dei quali ha una propria tendenza naturale e una propria debolezza.
Gli Elfi rappresentano, per così dire, gli aspetti artistici, estetici e puramente scientifici della natura umana elevata a un livello superiore a quello che si riscontra effettivamente negli Uomini.
Sono “immortali”, non “eternamente”, ma per perdurare con e all’interno del mondo creato finché la sua storia dura. Quando vengono “uccisi”, dalla ferita o dalla distruzione della loro forma incarnata, non sfuggono al tempo, ma rimangono nel mondo, disincarnati o rinati.
Questo diventa un grande peso con il passare delle ere, soprattutto in un mondo in cui regnano malizia e distruzione… [Lettere, p. 236, datato a gennaio o febbraio 1956, ma più probabilmente fine 1955]
Altrove spiegò più ampiamente i diversi destini di Elfi e Uomini:
Il destino degli Elfi è di essere immortali, di amare la bellezza del mondo, di portarlo a piena fioritura con i loro doni di delicatezza e perfezione, di durare finché dura, senza mai abbandonarlo nemmeno quando vengono “uccisi”, ma ritornando.
Il Destino (o il Dono) degli Uomini è la mortalità, la libertà dai circoli del mondo… un mistero di Dio di cui non si sa altro che che “ciò che Dio ha destinato agli Uomini è nascosto”: un dolore e un’invidia per gli Elfi immortali, [lettera a Milton Waldman, fine 1951, Lettere, p. 147]
Estratti da: A reader’s companion, a cura di Hammond & Scull
– Stella del Vespro
