La mattina seguente Bilbo si alzò col primo sole negli occhi. Saltò su per vedere che ora fosse e per andare a metter sul fuoco il latte e il caffè – e scoprì di non essere affatto a casa sua. Così si mise a sedere col desiderio irrealizzabile di lavarsi e spazzolarsi ben bene. Non poté fare né l’una cosa né l’altra, e nemmeno avere caffellatte, panini e marmellata a colazione, solo pecora e coniglio freddo. E dopo di ciò dovette prepararsi a ricominciare tutto da capo.
Questa volta gli fu permesso di salire sul dorso di un’aquila e di tenersi ben stretto tra le ali. Sulla sua testa si formò una violenta corrente d’aria, ed egli chiuse gli occhi. I nani gridarono addii e promesse di sdebitarsi col Signore delle Aquile se mai ne avessero avuto la possibilità, mentre quindici grandi uccelli si levavano dal fianco della montagna. Il sole si teneva ancora vicino al limite orientale delle cose. Il mattino era freddo, e nelle valli e nelle conche c’era una nebbiolina che qua e là si avvolgeva attorno alle cime e ai pinnacoli delle alture. Bilbo aprì un occhio per dare una sbirciatina e vide che gli uccelli erano già molto in alto e che la terra era molto lontana, e le montagne, già distanti, si ritraevano sempre di più. Chiuse di nuovo gli occhi e si tenne più forte.
«Non darmi pizzicotti! » disse l’aquila. « Non hai bisogno di tremare come un coniglio, anche se gli somigli abbastanza. È una bella mattina con poco vento. Che cosa c’è di più bello che volare?». Bilbo avrebbe voluto dire: «Un bagno caldo e poi, più tardi, una bella colazione in giardino», ma ritenne che fosse meglio non dire niente del tutto, e allentare la sua presa appena un pochettino.
Lo Hobbit, Strani Alloggi
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-Thorin