L'evoluzione della leggenda - La Storia della Terra di Mezzo

J. R. R. Tolkien, come è noto, non redasse una sola versione del “Silmarillion”, ma svariate. Ecco perché di questo testo, in assoluto il più travagliato e complesso di tutta la sua produzione narrativa, esiste una vera e propria “tradizione letteraria”, ricostruita dal figlio Christopher Tolkien all’interno dell’antologia di testi Storia della Terra di Mezzo. In questa mastodontica opera di collage editoriale ed esegesi annotata, uscita in 12 volumi tra il 1983 e il 1996 (più uno di indici e riferimenti bibliografici, rilasciato nel 2002), il meticoloso Christopher ha ricostruito con estrema acribia il lavoro di una vita del padre, fornendo un resoconto pressoché completo delle varie stesure che JRR ha realizzato – dal 1916-17 fino a praticamente la morte nel 1973 – di quelli che in epoca successiva sarebbero stati definiti i “racconti della Prima e della Seconda Era”, e in generale l’impianto della sua mitologia: il “Legendarium”, come è stato definito.

Desiderio di questa rubrica che qui vi presentiamo è dar conto di una minima parte di questo lavoro, più che altro per portare l’attenzione su un aspetto a dir poco centrale: ricostruire la storia testuale del “Silmarillion” [esattamente come fa CT nei suoi commentari, mi riferirò con questo virgolettato al “Silmarillion” come complesso di opere e testi tra essi correlati, come tradizione letteraria appunto; mentre adopererò la forma Silmarillion quando mi riferirò al Il Silmarillion edito da Christopher nel 1977] non è un’operazione oziosa, né appannaggio unicamente di filologi e studiosi dell’opera tolkieniana. È bensì un tentativo di avvicinarsi alla comprensione, di dar conto dei processi mentali che hanno consentito l’evoluzione di queste storie. Conoscendo tutta la storia “esterna” che ha condotto alle ultime redazioni (quelle che, con ogni probabilità, Tolkien stesso considerava più “veritiere”, in questa sorta di processo di scoperta del mondo da lui sub-creato) sarà più facile anche rintracciare gli elementi di continuità, i cardini della mitologia di Arda, e d’altro canto osservare la trasformazione costante di certi altri elementi che mai o quasi mai si sono stabilizzati del tutto. [Di questo specifico aspetto riparleremo in futuro]

Tutto ciò deriva indubbiamente dal metodo di scrittura di Tolkien: una scrittura a volte sorgiva e spontanea, e mai più ritoccata, ma il più delle volte improntata a un labor limae instancabile, che spesso si declina nelle più svariate forme linguistiche ed espressive, tutte contestualizzate in-universe (ovvero facenti parti di un gioco letterario a Tolkien molto caro, quello dello pseudobiblìon):

  • il racconto con cornice [Il Libro dei Racconti Perduti]

  • il poema (con metro allitterativo anglosassone, con distici rimati) [I Lai del Beleriand]

  • la cronaca annalistica [Gli Annali di Valinor, Gli Annali del Beleriand, Gli Annali di Aman, Gli Annali Grigi]

  • la prosa condensata ed evocativa [Qenta Noldorinwa, La Caduta di Númenor, Quenta Silmarillion, “Tardo” Quenta]

  • il saggio (cosmologico, linguistico-etnologico, filosofico-escatologico) [Ambarkanta, Lhammas, Quendi ed Eldar, Il Mito Trasformato]

  • il romanzo [La Strada Perduta].

Ebbene, nel “sogno” di Tolkien il “Silmarillion” si sarebbe dovuto comporre di tutte (o quasi) queste forme di racconto, in quanto avrebbe dovuto rappresentare una tradizione letteraria in-universe del Legendarium di Arda (per intenderci: i “libri di sapienza” tradotti da Bilbo a Gran Burrone!).

Ciascuna di queste opere infatti ha un “narratore interno”, o per meglio dire un “copista” (e a volte più di uno, in un gioco di scatole cinesi – impareremo a familiarizzare con alcuni di questi “redattori interni”, tra cui Rúmil di Tirion e Pengoloð di Gondolin) che le ha trasmesse alla propria posterità. Ecco perché il personaggio di Eriol/Ælfwine è così importante: egli rappresenta il ponte tra questi due mondi: Mondo Primario e Mondo Secondario.

In una delle prime versioni della mitologia egli è stato uno dei copisti del Libro d’Oro (Parma Kuluina) dei Racconti Perduti, e ha riportato in questa leggendaria antologia quanto udito dai saggi di Tol Eressëa. La “finzione letteraria” vorrebbe che questo Libro d’Oro abbia successivamente avuto una tradizione umana a partire dal IX sec. d.C., in Nord Europa, fino ad arrivare a Tolkien, alle soglie del XX secolo.

Ma allora come mai Tolkien non riuscì a realizzare questo suo magnum opus? E perché Il Silmarillion del 1977 non contiene né la cornice narrativa di Mar Vanwa Tyaléva (o successive versioni di questa) né la varietà di generi letterari che abbiamo esposto poc’anzi?

Il fatto è che le opere rappresentanti ciascuno di questi filoni sono state a più riprese riscritte, abbandonate, riformulate, corrette e integrate da nuove concezioni, aggiornate sul piano linguistico e dei nomi propri (di quest’ultimo aspetto abbiamo già parlato) al punto che, pescando all’interno del mare magnum di redazioni diverse e composite, sarebbe possibile “estrapolare” non uno ma infiniti “Silmarillion”. Nel corso della sua vita JRR Tolkien tentò molte volte di pubblicare questo materiale che andava diventando sempre più ipertrofico e ingestibile, la prima fu nel 1937, sull’onda del successo dello Hobbit; tuttavia non riuscì mai ad aggiustare e a mettere insieme una versione completa che lo soddisfacesse, non riuscì mai a decidere nel dettaglio cosa preservare e cosa scartare da ciascuna singola versione, al punto che di alcuni episodi fondamentali della mitologia (come la Caduta di Gondolin e le avventure di Eärendil) abbiamo, come uniche stesure “complete”, solo quelle risalenti ai primi anni ’30 e al Qenta Noldorinwa, unico “Silmarillion” completo, almeno per quanto riguarda gli eventi della “Prima Era”.

Ecco perché Il Silmarillion del 1977 è solo una delle possibili formulazioni, quella attestatasi grazie al primo intervento editoriale di Christopher Tolkien.

Personalmente ritengo che, al netto di quanto appena scritto, Il Silmarillion di Christopher meriti una grande considerazione, e non solo per l’incredibile lavoro di curatela, adattamento, “compattazione”, ricerca della coerenza interna; non solo per il merito storico aver introdotto questo fenomeno letterario alla conoscenza dei lettori, in maniera non scostante come forse un trattamento diverso avrebbe comportato (vi immaginate un “Silmarillion” annotato di oltre 2000 pagine di materiale grezzo e scarsamente editato come PRIMO APPROCCIO a questo corpus di opere?); ma anche in virtù dell'”investitura” che CT ricevette dal padre.

Si legge nel Tolkien’s last will & testament:

5. I GIVE my library and all my manuscripts typescripts notes and all other articles connected with my work as an author (hereinafter together referred to as “my literary assets”) to my Trustees upon the following trusts that is to say:

(a) Upon trust to allow my son Christopher full access to the same in order that he may act as my Literary Executor with full power to publish edit alter rewrite or complete any work of mine which may be unpublished at my death or to destroy the whole or any part or parts of any such unpublished works as he in his absolute discretion may think fit and subject thereto.

[…]

“[…] in fede, concedo a mio figlio Christopher pieno accesso [ai miei manoscritti, dattiloscritti, note e a tutti gli articoli correlati con la mia attività di autore, di seguito indicati come “il mio patrimonio letterario”], di modo che possa agire in quanto mio Esecutore Letterario, con piena facoltà di pubblicare, editare, alterare, riscrivere o completare qualsiasi mia opera rimasta inedita alla mia morte, o di distruggere interamente o parzialmente suddetta opera inedita, nella maniera che lui, a sua assoluta discrezione, ritenga consona”.

In poche parole, JRR rispettava preventivamente qualsiasi decisione ed esito il figlio avesse stabilito riguardo alla sua opera inedita, finanche quella di distruggere tutto. Possiamo capire da ciò quanto dobbiamo essere grati alla decisione di Christopher non solo di non essersene “fregato”, come forse molti altri avrebbero fatto, magari vendendo a un’asta privata i manoscritti e dattiloscritti paterni, ma addirittura di essersi preso la briga di un lavoro così minuzioso e amorevole nei confronti di tutto questo materiale, da lui trattato con un approccio filologico che non ha nulla da invidiare ai più grandi studiosi di letterature antiche, come se avesse avuto dinanzi, anziché i manoscritti paterni, un corpus di kenningar scaldici da decifrare e interpretare a favore di un pubblico di lettori moderni.

Dunque la scelta iniziale di CT, di eliminare la cornice, di eliminare quasi del tutto gli inserti poetici e l’alternanza (prevista per esempio dal progetto di pubblicazione del ’37) tra resoconto annalistico e prosa narrativa, va comunque rispettata, innanzitutto poiché fatta con la buona intenzione di produrre un testo “di servizio” e dalla fruizione non troppo gravosa, che fosse internamente coerente e dalla struttura pressoché romanzesca, e in secondo luogo perché frutto di una scelta avallata dall’ultima volontà del padre; scrive infatti Tolkien in una lettera del 1963: “Le leggende devono essere rimaneggiate (furono scritte in momenti diversi, molti anni fa) e rese coerenti; e dovranno essere rese omogenee con Il Signore degli Anelli; e bisognerà dare loro una forma progressiva.”

Ad ogni modo, come sappiamo, Christopher ci ripensò. Sei anni dopo la pubblicazione del Silmarillion, nel 1983, nell’introduzione al primo volume della Storia della Terra di Mezzo, scrive:

“Lo studio della Terra di Mezzo e di Valinor è quindi complesso; perché l’oggetto dello studio non era stabile, ma esiste per così dire “longitudinalmente” nel tempo (della vita dell’autore) e non solo “trasversalmente”, nella forma di un libro stampato che non subisce ulteriori mutamenti essenziali. La pubblicazione del “Silmarillion” ha tagliato “trasversalmente” il “longitudinale”, imponendo una sorta di carattere definitivo.”

In un certo senso Christopher si “pentì” del suo stesso intervento editoriale, e decise di offrire ai lettori uno sguardo più ampio sull’opera paterna, ovvero non più “un testo unico, [ottenuto] scegliendo e ordinando i materiali in modo tale da attribuire loro l’aspetto di un insieme narrativo il più coerente e privo di contraddizioni possibile”, ma “un insieme di testi disparati legati da un commento” (sto citando rispettivamente dalle introduzioni del Silmarillion e dei Racconti Incompiuti [1980]), abbracciando (e così ufficializzando) la natura multiforme, proteiforme, da palinsesto, dell’opera.

Alla luce di tutto ciò che è stato detto, e del desiderio di far conoscere il più possibile gli aspetti di maggiore complessità dell’opera tolkieniana, con sempre il fine ultimo di spingere nuovi lettori ad addentrarsi nelle sue pagine, vorremmo offrire in questi post qualche assaggio della Storia della Terra di Mezzo, tra cui una selezione delle poesie più suggestive della sua produzione, ma anche brani tratti da stesure preliminari o alternative di opere che sono state in seguito “cristallizzate” in una forma editoriale ben precisa, come alcuni passi del Silmarillion o del Signore degli Anelli, per non parlare di testi saggistici che non hanno mai trovato spazio nelle opere più strettamente narrative, ma che il solerte Christopher ha incluso nell’antologia per fornire qualche strumento interpretativo ulteriore, come ad esempio il Lhammas o l’Ambarkanta.

 

Alla prossima!

-Rúmil

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