Su colli antichi e lontano
Ȝeond fyrne beorgas ⁊ heonan feor
Di giugno era discesa allor la notte immota,
Con poche stelle, e una luna remota,
Insonnoliti gli alberi languivano, e silenti
Ombre si destavano ai loro piedi dormienti.
Alla finestra sgusciai senza rumore
lasciando intatte le coltri nel candore;
E qualcosa di fascinante, solitario e strano,
Come profumo di fiori dalle rive del mare lontano
Che nell’Elfica Dimora s’apre, e in piogge accese.
Dagli astri scintilla e balena, ai vetri ascese
Dell’alta finestrella. O suono era forse?
Ascoltai e stupii, lo sguardo al suolo, e sorse
Da lungi una musica attutita
Dolce, incantevole, ora chiara ora sbiadita,
Come stella tra i giunchi d’uno stagno luminosa
Tenue qual luccichio di erba rugiadosa.
Lasciai dunque la finestra e seguii la chiamata
Lungo lo scricchiolio delle scale e una sala smisurata
Fuori da un portone che si apriva grigio e imponente,
E per il prato, e ancora, ancora più distante.
Era Tinfang Trillo laggiù intento nella danza,
Zufolando e scuotendo l’antica chioma bianca,
Finché come brina sotto luna d’inverno scintillava;
E intorno a lui ogni stella alla musica ammiccava
Luccicando azzurra quale favilla nella foschia,
Come sempre esse fremono delle sue note alla malia.
Il mio passo mandò solo parvenza di rumore
Sul cerchio di ciottoli a lui intorno, bianchi e colmi di fulgore,
Dove, in un anello di sabbia, i suoi piedini erano guizzanti,
Mentre le dita aveva candide sulle mani incostanti.
Qual pulsare di una stella nell’aria era balzato
Col berretto svolazzante e il capo illuminato;
E in spalla portava il lungo strumento,
Dov’era sospeso a un nastro nero e argento.
Tenue qual ombra divenne poi la snella sua figura,
Ed egli scivolò fra i giunchi, pari a bruma nella radura;
Rise come argento sottile, e sottile una nota intonò,
Mentre il mantello ombroso nella tenebra ondeggiò.
Oh! Torte e piegate eran le punte delle sue scarpine,
Ma egli danzava come nel mondo brezze repentine.
Se n’è andato, e la valle è nuda e deserta
Dove sto solo e solitario scruto, all’erta.
Poi, d’improvviso, per i prati distanti,
Poi di nuovo tra le canne presso stagni luccicanti,
Poi lontano, da un bosco dove il muschio è denso
Poche note piccine giunsero in un trillare intenso.
Balzai oltre il rivo, lasciai di corsa la radura,
Poiché Tinfang Trillo stava suonando ancora;
Dovevo, il gorgheggio di quel flauto d’imbrunire,
Su canne e giunchi, oltre fronde e radici inseguire,
E per fioche distese, attraverso fruscii d’erbaggi
Che sussurrando fremono del vecchio elfo ai passaggi,
Su colli antichi e lontano
Dove le arpe degli Elfi mormorano piano.
J. R. R. Tolkien
Oxford 1927

Tratto da Il Libro dei Racconti Perduti – Parte I.
Traduzione di Cinzia Pieruccini, riveduta e aggiornata in collaborazione con l’Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
-Rúmil