Con grande sorpresa di Rover si aprì una porticina sul tetto vicino a loro e un vecchio con una lunga barba argentea mise il capo fuori.
«Non male, come tempo!» esclamò. «Ti sto cronometrando da quando hai superato il limite: mille miglia al minuto, direi. Hai fretta, stamattina! Fortuna che non sei andato a sbattere contro il mio cane. Dove sarà mai andato a finire, mi domando?»
Estrasse un telescopio spropositatamente lungo e se lo avvicinò a un occhio.
«Eccolo! Eccolo!» urlò. «Sta ancora infastidendo i raggi di luna, accidenti! Vieni giù! Vieni giù!» chiamò nell’aria e poi fischiò una lunga, squillante nota argentina.
Rover guardò in alto, pensando che quel buffo vecchietto doveva essere un po’ matto per fischiare al proprio cane verso il cielo: ma con sua sorpresa vide che molto al di sopra della torre c’era un cagnolino bianco con ali bianche che dava la caccia a delle entità che sembravano farfalle trasparenti.
«Rover! Rover!» chiamò il vecchio; e proprio mentre il nostro Rover si stava rizzando sul dorso di Mew per dire «Eccomi!» – senza chiedersi come mai il tizio sapesse già il suo nome – vide il cagnolino volante tuffarsi a capofitto giù dal cielo e andare a posarsi direttamente sulla spalla del vecchio.
Si rese conto allora che anche il cane dell’Uomo-sulla-Luna doveva chiamarsi Rover. Non ne fu gran che contento, ma poiché nessuno gli badava, si sedette di nuovo e cominciò a ringhiare tra sé.
Il Rover dell’Uomo-sulla-Luna aveva buoni orecchi e immediatamente balzò sul tetto della torre e si diede ad abbaiare come un matto. Poi si sedette e ringhiò: «Chi ha portato qui quell’altro cane?»
«Quale altro cane?» chiese l’Uomo.
«Quel cucciolo sciocco che è sulla schiena del gabbiano», rispose il cane-luna.
Allora, naturalmente, Rover s’alzò di nuovo e abbaiò con quanto fiato aveva in gola: «Cucciolo sciocco sarai tu! Chi ti ha detto di chiamarti Rover, un nome più da gatto o pipistrello che da cane?» Da questo si poteva arguire che i due sarebbero presto diventati grandi amici. Tuttavia, è questo il modo in cui i cagnolini si rivolgono ai rappresentanti della propria specie che non conoscono.
«Oh, volatevene via, voi due! E smettetela di fare tutto questo chiasso! Voglio parlare al postino», dichiarò l’Uomo.
«Vieni, piccolino!» disse il cane-luna; e Rover si ricordò di quanto fosse minuscolo, anche accanto al cane-luna che era soltanto piccolo, e invece di abbaiare una villanata mormorò: «Mi piacerebbe, se solo avessi le ali e sapessi volare».
«Ali?» fece l’Uomo-sulla-Luna. «Eccotene un paio, va’!»
Mew rise e praticamente se lo scosse di dosso, gettandolo oltre l’estremità del tetto della torre! A Rover mancò il respiro ma non fece nemmeno in tempo a immaginarsi spiaccicato sulle bianche rocce della valle, miglia e miglia al di sotto di lui, che scoprì di avere un magnifico paio di ali bianche a macchie nere (intonate alla sua livrea). Precipitò parecchio prima di riuscire a fermarsi, poiché non era abituato alle ali. Gli ci volle un po’ per abituarsi ma, molto prima che l’Uomo finisse di parlare con Mew, stava già rincorrendo il cane-luna intorno alla torre.
{J. R. R. Tolkien, Roverandom Le Avventure di un Cane Alato, Roverandom Gets His Wings by Jessica Henry Gray}
-Ancalagon