LINGUE TOLKIENIANE / Stagione 2, Ep. 9 - Corpus Medio Quenya: Koivienéni Manuscript (2/2): The Two Trees

Cari amici, ben ritrovati alla rubrica sulle Lingue Tolkieniane.

Completiamo l’analisi del Koivienéni Manuscript presentando la frase denominata The Two Trees.

Nella parte inferiore del manoscritto si trova una frase, con parecchie cancellature (alcune delle quali rendono illeggibili le parole sottostanti), indizio di numerosi ripensamenti riguardo a singole parole, specialmente nella prima parte.

Di questa sentence, a differenza di The Elves at Koivienéni, non è fornita da Tolkien alcuna traduzione, dunque i curatori dell’articolo di Vinyar Tengwar #27 in cui è stata analizzata (Trees of Silver and of Gold: A Guide to the Koivienéni Manuscript, pagg. 20 – 29) hanno proposto una loro traduzione basandosi sulla versione apparentemente definitiva (ma riportando e analizzando anche le forme scartate).

La traduzione è inevitabilmente speculativa, e basata su un confronto incrociato con il corpus Quenya coevo (Etymologies, A Secret Vice, i frammenti presenti in Lowdham’s Report on Adûnaic Language, solo in un paio di istanze a esempi di Qenya più antico, risalente ai Lost Tales).

Riporto di seguito il testo definitivo e la relativa traduzione.

The Two Trees”

Valar empannen Aldaru
mi kon-alkorin
ar sealálan táro
ar sílankálan ve laure ve misil.

The Gods planted the Two Trees
in a blessed garth
and they grow high
and shine like gold like silver.

Gli Dèi piantarono i Due Alberi
in un giardino benedetto
ed essi crebbero in altezza
e risplendettero come oro [e] come argento.

Qualche nota linguistica, prima di commentare la frase nel suo contesto narrativo e storico:

  • Valar empannen. La forma verbale deriva probabilmente da panya- “fissare, collocare (utilizzato specialmente in riferimento al legno)”, cui è premesso il prefisso em- (che rimpiazza im-, poi cancellato). Dalle Etimologie risulta che molti verbi con la radice in -ya formano il passato facendo cadere il -ya e imponendo il suffisso temporale -ne, dunque *panne sarebbe coerente con questo tipo di formazione. Essendo il soggetto plurale (Valar = “I Valar, gli Dèi”), la n finale di empannen sembrerebbe un marker del numero plurale, come verrà presumibilmente utilizzato anche oltre, in sealálan e in sisilkalan (cfr. anche kakainen nella Koivienéni sentence). Sul perché si utilizzi, in questi e in altri esempi, la n in luogo della più comune desinenza plurale r, non vi sono certezze. Potrebbe segnalare una differente funzione grammaticale, oppure un fenomeno fonetico di altro tipo. Per quanto riguarda il prefisso em- ( < im-) esso è probabilmente il risultato di assimilazione da en + pan- > en-pan- > empan-. La preposizione en compare anche più avanti nella frase, come forma scartata e poi sostituita da mi “in, dentro”. È probabile che en/em derivi dalla radice ÉNED “centro”, e che dunque abbia il significato di “al centro di, in mezzo a”. Dunque “Gli Dèi piantarono [al centro del giardino]”.

  • Aldaru ( < aldatta < atta alda). Forma duale “irregolare” di alda “albero”. Tolkien ha avuto più di un ripensamento prima di scegliere la forma “definitiva” di questo sostantivo duale. All’inizio aveva scritto atta alda, ovvero l’agg. numerale cardinale “due” + il sostantivo singolare alda “albero”; poi aveva optato per un’inflessione duale in -tta (evidentemente derivante dal numerale) – questa desinenza duale in -tta era destinata a scomparire nel Quenya maturo, sebbene sia attestata una variante abbreviata in -t in esempi più tardi, come ciryat “due navi” (confronta Lettera 347 e Plotz Declension); infine ha optato per aldaru, ovvero la combinazione della desinenza plurale in -r + la desinenza duale alternativa in -u. Non è l’unico esempio in cui il duale è formato con un composto simile: vd. anche talwi “i piedi”, dove -wi sembrerebbe la combinazione di -u + desinenza plurale -i, tuttavia si tratta probabilmente di esperimenti estemporanei, che sarebbero divenuti obsoleti con il Quenya del SdA.

  • Mi kon-alkorin ( < en alkorin). Questa locuzione ha posto qualche difficoltà a Gilson e Wynne per essere interpretata. Mi, come abbiamo detto, è la preposizione “in”. Alkorin sembrerebbe essere l’unione di un prefisso ’al, derivato dalla radice GALA “crescere florido, prosperare” (da cui discende una serie di parole relative al concetto di “benedetto, fortunato”, quali alya “prosperoso, ricco, abbondante, benedetto” o almárea “benedetto”) + il sostantivo korin “recinzione (o meglio ‘spazio recintato’) circolare” (cfr. radice KOR “rotondo”.

    al-korin sarebbe dunque un *“florido giardino recintato” dalla forma circolare, che i curatori di VT rendono con blessed garth (quest’ultimo è un termine arcaico, proposto come equivalente inglese di korin).

    Altra ipotesi è che il primo elemento di alkorin possa essere alka “raggio di luce” o alkar “radiosità”, entrambi dalla radice AKLA-R, e a questo punto *alka-korin o *alkar-korin sarebbe stato semplificato in alkorin.

    Infine kon- è piuttosto oscuro. Le uniche supposizioni avanzate riguardano un possibile collegamento con la radice KHŌN “cuore” (o con una sua controparte non aspirata, *KO-N-), da cui deriva il termine Quenya hōn “cuore”, usato anche nell’accezione metaforica di “centro” (attestato ad esempio in uno dei frammenti presenti all’interno de La Strada Perduta). In questo caso mi kon-alkorin potrebbe significare “nel giardino benedetto al centro [di Valinor?]”, oppure rafforzare il significato del prefisso di empanye e diventare “al centro del giardino benedetto”. Si tratta in ogni caso di pure congetture.

  • Compaiono, sotto kon-alkorin, altre parole che sembrano essere sue versioni alternative, ovvero korme, sekormen e kokormenesse, di cui le ultime due curiosamente non furono cancellate, come se fossero, per il perennemente indeciso Tolkien, tutte alternative “papabili” per esprimere il medesimo significato di “giardino (o colle) circolare recintato”. Se- ed -esse sono rispettivamente un prefisso e un suffisso locativo, e dunque assolverebbero la funzione di mi. Kor-men significa letteralmente *”luogo rotondo”, il prefisso ko- in kokormenesse sembrerebbe suggerire un’analogia con l’aspetto verbale frequentativo, e dunque conferire una sfumatura intensiva al sostantivo kormen: kokormen = uno “spazio recintato perfettamente rotondo” oppure un “grande colle / tumulo”. Il riferimento è evidentemente al Corollairë “Verde Tumulo” o Coron Oiolairë “Tumulo dell’Estate Perenne”, nomi alternativi del colle Ezellohar su cui sbocciarono i Due Alberi.

  • Ar sealálan. Ar congiunzione “e”. se-alálan contiene l’elemento reduplicato alála-, il che suggerisce una forma verbale frequentativa tratta dalla radice GALA di cui sopra “crescere florido”, o forse GAL “crescere (intransitivo)” (da una nota alla summenzionata Lettera 347, in cui da questa radice viene fatto derivare anche alda “albero”). Dunque questo verbo avrebbe il significato di “stanno crescendo” o “stavano crescendo” (presente storico). L’elemento se- potrebbe essere, come sopra, un locativo; oppure un prefisso pronominale con funzione di soggetto “essi”, come in senekkoita (vd. The Elves at Koivienéni), magari per evidenziare che il soggetto è cambiato rispetto alla proposizione precedente: “I Valar piantarono i Due Alberi in un giardino beato e questi ultimi crescevano…” etc.

  • Táro. Come notato per la frase del post precedente, -o è in questa fase un suffisso avverbiale per formare avverbi da aggettivi, in questo caso da tára “alto, nobile”, e dunque sealálan táro potrebbe significare qualcosa come “crescevano fino ad una grande altezza”.

  • Ar sīlankālan ( < sisilkalan). La forma scritta in origine sisilkalan contiene il verbo sil- “brillare, risplendere (di luce bianca)” + l’elemento kala-, identificato con il verbo congruente dal significato di “brillare di luce dorata”. L’unione di queste due radici dà forma al composto silkala-, reso in forma frequentativa dalla reduplicazione di si-. Significa dunque *“risplendono (continuativamente) di luce argentea e dorata”, in riferimento, ovviamente, alla luce dei Due Alberi di Valinor, Telperion e Laurelin. Questo verbo fu in ogni caso scartato, e sostituito con sīlankālan, che è sempre un composto, dal medesimo significato del precedente, ma con una struttura più inusuale: in questo caso sil- e kala- vengono flessi ciascuno singolarmente al tempo presente (sīlan e kālan) e poi giustapposti a formare il composto. Una costruzione di questo tipo è un unicum nell’intero corpus Qenya, nondimeno è molto interessante da osservare.

  • Ve laure ve misil. Le sfumature di “luce dorata” e “argentata” sono intrinseche nel verbo precedente (sīlan-kālan), tuttavia il concetto viene ribadito da queste due comparazioni. Ve è l’avverbio di modo “come”. Laure = “oro”. La seconda parte del verso riportava originariamente ve sil. Sil nei Racconti Incompiuti era uno dei nomi della Luna, glossato nel Lessico Qenya come “la rosa d’argento”, sotto la radice SILI, insieme ad una corposa lista di termini tutti correlati al concetto di “bianchezza” o di “luce bianca”. Al tempo delle Etimologie, invece, il nome della Luna è divenuto Isil, letteralmente “la Lucentezza”, dalla radice THIL, variante di SIL “brillare di luce argentea”. Tuttavia nella presente frase sil viene scartato a favore di (misilya > ) misil. Né misilya misil hanno altre occorrenze, ma, in uno degli innumerevoli casi di polisemia ricercata, sembrano derivare da MBIRIL, radice composita di MIR (da cui míre “gioiello”) + RIL “luccicare” (lo stesso elemento presente in Silmaril). Da questa radice provengono parole quali mirilya- “luccicare” e miril “gioiello scintillante”. Le radici SIL (THIL) e RIL costituiscono una cross-reference e danno origine a misil(ya), il cui significato si può dunque rendere con *“lucentezza (come in un gioiello) d’argento”.

Cover di Vinyar Tengwar #27, con l’illustrazione di Patrick Wynne sulla Two Trees Sentence: “Valar Empannen Aldaru”

Come si può notare, la complessità di questa frase è data soprattutto dal suo laborioso processo compositivo, nonché dalla costante invenzione linguistica, tipicamente sorgiva e multiforme. Entrambi fattori cui dovremmo ormai essere abituati, quando analizziamo nel dettaglio le opere del Professore!

Ogni parola diventava per Tolkien un’occasione buona per concepire nuovi, originali modi di esprimere funzioni logico-grammaticali, relazioni sintattiche, sfumature semantiche che sfociano nella polisemia (e ci dicono qualcosa sulla mentalità degli Elfi, e specialmente sul loro lessico della Luce)…

Insomma, un vulcano creativo di idee linguistiche e narrative che si intrecciano e sinergizzano tra di loro costantemente.

A proposito di narrativa, come notano Gilson e Wynne, è interessante notare l’utilizzo del verbo “piantare”, per riferirsi all’intervento dei Valar che ha portato alla nascita dei Due Alberi. Considerando che la versione più nota del mito riporta che i germogli nacquero dal canto di Yavanna, sembra quanto meno bizzarra la scelta di parole.

Tuttavia, come non mancano di far osservare i curatori di VT, questa parola è perfettamente coerente con le versioni più antiche dell’episodio mitico, ad esempio quella riportata nello Sketch of the Mythology (1926):

Ifan Belaurin [ > Yavanna Palúrien] pianta i Due Alberi nel mezzo della piana di Valinor, fuori dai cancelli della città di Valmar. Questi crescono dai suoi canti…

oppure nel Qenta Noldorinwa (1930):

A Valinor, nella vasta piana poco distante dalle porte di Valmar la beata, Yavanna piantò due alberi. Al suo canto, essi crebbero…

Ma è soprattutto rispetto alla versione presente nei Racconti Perduti che la scelta del verbo empannen (lett. set within “collocare all’interno”) sembra più adatta a restituire il senso dell’azione descritta:

Nel bel mezzo della valle scavarono allora due grandi fosse […] In una Ulmo depose sette massi d’oro portati dalle più silenziose profondità del mare, quindi vi fu gettato un frammento della lampada che per breve tempo aveva brillato su Helkar, al Sud. La fossa fu poi ricoperta con fertili terre create da Palúrien e a questo punto giunse Vána, che ama la vita e la luce del sole […] Ella intonò, sul cumulo di terra, il canto della primavera, e vi danzò attorno; lo irrigò […].

Nell’altra fossa gettarono invece tre perle enormi trovate da Ossë nel Grande Mare e dopo di loro Varda vi lasciò cadere una piccola stella, quindi la ricoprirono con spume e candide foschie e vi sparsero terra leggera […] Dopo aver cantato [Palúrien] meditò a lungo, mentre i Valar sedevano intorno in cerchio e la pianura di Valinor era buia.

In questo racconto dunque non solo Yavanna, ma tutti i Valar collaborano alla creazione degli Alberi, o comunque contribuiscono alla loro nascita, ciascuno con il proprio talento e i propri “materiali”. Come già osservato, sembra che le frasi presenti nel manoscritto Koivienéni richiamino da vicino l’immaginario dei Racconti Perduti, riprendendo alcuni dettagli che saranno poi tralasciati o modificati nelle versioni successive del mito.

Alla luce di queste analisi e riflessioni, appare sempre più evidente come lingua e mito siano due funzioni assolutamente complementari, che si inseguono e si arricchiscono vicendevolmente. Tale è la loro interconnessione che, secondo la mentalità di J. R. R. Tolkien, risulta anche forzato separarle nettamente: sono, in un certo senso, la medesima cosa affrontata sotto due punti di vista differenti.

Quest’idea sarà sempre uno dei punti fermi nella vita di Tolkien, al punto che riusciamo a scorgervene un’eco anche nel Discorso di commiato all’Università di Oxford, che Tolkien tenne nel 1959 di fronte ai rappresentanti più autorevoli dell’ateneo in cui aveva insegnato per trentaquattro anni. Discorso in cui non risparmiò critiche aspre e amareggiate, tra cui la sua stigmatizzazione della tendenza a considerare lingua e letteratura come discipline autosufficienti l’una rispetto all’altra. Ciò alla lunga avrebbe portato, secondo Tolkien, ad una mentalità perniciosa e piatta, non avrebbe giovato ad una corretta trasmissione del sapere, anzi avrebbe dipinto agli studenti un mondo artificiosamente semplificato, e prodotto generazioni di intellettuali infarciti (botuli e sarcimina, commenta spietatamente il Prof, che tanto è alla fine della sua carriera e non deve rendere conto a nessuno!) di nozioni, ma incapaci di metterle in relazione tra loro, e in ultima analisi incapaci di affrontare la complessità del reale.

Bibliografia:

  • Vinyar Tengwar #27 – Trees of Silver and of Gold: A Guide to the Koivienéni Manuscript, ed. by Christopher Gilson and Patrick Wynne

Sitografia:

☙❧☙❧☙❧☙❧

Dal nostro sito si può consultare l’intera raccolta di post dedicati alle Lingue Tolkieniane: https://www.raccontiditolkien.it/category/analisi/lingue/

☙❧☙❧☙❧☙❧

-Rúmil

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back To Top
Racconti di Tolkien