Un vento freddo soffiava dalle montagne innanzi a loro. Pensavano già a cercare un posto a qualche distanza dalla Via, adatto per l’accampamento, quando udirono un rumore che fece risorgere improvvisamente il panico nei loro cuori: lo scalpitio di zoccoli alle loro spalle. Guardarono indietro, ma non riuscivano a vedere lontano a causa delle curve della strada. Allora si inerpicarono su per i pendii, inoltrandosi in una macchia fitta di erica e di mirto, e arrivarono in un piccolo e folto bosco di noccioli. Da lassù, sbirciando tra i cespugli, potevano vedere la Via, grigia ed indistinta nella scarsa luce, a trenta piedi più in basso. Il rumore si avvicinava rapidamente. Ma poi, debole e fioco, come trasportato dalla brezza, giunse alle loro orecchie un tintinnare, come di piccoli campanelli che squillassero lievi.
«Non si direbbe il cavallo di un Cavaliere Nero!», disse Frodo, ascoltando attentamente. Gli altri Hobbit, pur acconsentendo speranzosi, rimasero molto diffidenti. Erano ormai abituati da lungo tempo a temere, e qualsiasi rumore insolito pareva malefico ed ostile. Ma ora Grampasso era curvo in avanti, chino verso terra, con una mano all’orecchio e uno sguardo raggiante sul viso.
La luce stava scomparendo, e le foglie dei cespugli frusciavano dolcemente. D’un tratto apparve un cavallo bianco che correva veloce, risplendente nelle ombre del crepuscolo. La sua bardatura scintillava e sfavillava come tempestata di gemme brillanti simili a stelle vive. La cappa del cavaliere sventolava dietro, ed il cappuccio gli ricadeva sulle spalle; i capelli dorati ondeggiavano al vento. A Frodo pareva che una luce bianca emanasse dalla figura e dalle vesti del cavaliere.
Grampasso saltò fuori dal nascondiglio e si precipitò giù verso la Via, balzando attraverso le eriche con grida festose; ma già prima che lui si muovesse o chiamasse, il cavaliere aveva tirato le redini e si era fermato, volgendo lo sguardo verso i cespugli ove essi si trovavano. Vedendo Grampasso, smontò da cavallo per corrergli incontro gridando: Ai na vedui Dùnadan! Mae govannen! Il suo linguaggio e la voce limpida e squillante dissiparono gli ultimi dubbi: il cavaliere apparteneva alla Gente Elfica. Nessun altro nel vasto mondo aveva una voce così bella e soave all’udito. Ma nel suo richiamo sembrava vi fosse un non so che di timore o di fretta, ed essi videro che le parole che scambiava con Grampasso erano rapide ed urgenti.
Questi fece loro cenno di avvicinarsi, e gli Hobbit lasciarono i cespugli e si precipitarono sulla Via. «Questi è Glorfindel, e vive nella casa di Elrond», disse Grampasso.
«Salute, amico, finalmente benincontrato!», disse il sire elfico a Frodo. «Mi hanno mandato da Gran Burrone per cercarti. Temevamo che il pericolo ti sorprendesse per via.
Elrond ha ricevuto notizie inquietanti. Alcuni della mia gente in viaggio appresero che le cose non andavano per il loro verso e ci mandarono solleciti messaggi. Così abbiamo appreso che i Nove sono in movimento e che tu vagavi senza guida, poiché Gandalf non è rientrato, e col peso di un grosso fardello. Pochi sono coloro, anche a Gran Burrone, che possono cavalcare apertamente contro i Nove; e questi Elrond li ha spediti a nord, ad ovest e a sud. Pensammo che per far perdere le tracce avresti potuto deviare troppo dal tuo percorso e smarrirti così nelle Terre Selvagge.
«Il mio compito era quello di sorvegliare la Via, e giungendo al Ponte sul Mithelthel, all’incirca sette giorni fa, vi lasciai una gemma in segno. Vi erano tre servitori di Sauron sul Ponte, ma si allontanarono, mentre io li rincorrevo verso ovest. Ne incontrai anche altri due, i quali però voltarono immediatamente a sud. Da allora ho cercato ovunque le vostre tracce, e finalmente due giorni fa riuscii a trovarle.»
{J.R.R. Tolkien, Il Signore degli anelli
Glorfindel, by E. Kukanova}
-Stella del Vespro