IL LHAMMAS, la “relazione sulle lingue” [2]

LHAMMAS (continua)

Delle lingue degli Elfi di Valinor

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Per nove ere, ovvero novecento anni di Valinor, i Lindar e i Noldor dimorarono a Valinor, prima del suo ottenebramento; e per otto di quelle ere i Teleri abitarono presso di loro, sebbene separati, sulle rive e sui porti della terra degli Dèi, mentre Morgoth era in cattività e vassallaggio. Le loro lingue mutarono quindi nel lento scorrere degli anni, persino a Valinor, poiché gli Elfi non sono come gli Dèi, ma figli della Terra. Tuttavia, esse mutarono meno di quanto si potrebbe pensare in un così vasto lasso di tempo; giacché gli Elfi a Valinor non perivano, e a quei tempi gli Alberi fiorivano ancora, e la mutevole Luna non era ancora stata creata, e v’erano pace e beatitudine.

Ciononostante, gli Elfi modificarono profondamente la lingua dei Valar, e ciascuna delle loro stirpi secondo il proprio stile. La più bella e la meno mutevole di queste lingue era quella dei Lindar, e soprattutto la favella della casa e del popolo di Ingwë.

[Nota a piè di pagina: Ma i Lindar avevano una parlata dolce e da principio alterarono la parlata elfica più degli altri popoli, ammorbidendo e smussando i suoni, soprattutto le consonanti; tuttavia nelle parole [cancellato: e nelle forme] furono, come si è detto, meno mutevoli, e la loro grammatica e il loro vocabolario rimasero più antichi di quelli di qualsiasi altro popolo elfico.]

[Lhammas A in questo punto contiene una specifica che in Lhammas B non compare piu:

La lingua meno mutata era quella dei Lindar, perché essi erano i più prossimi ai Valar e coloro che li frequentavano maggiormente; e più simile alla lingua dei Valar era la parlata di Ingwë e della sua famiglia.]

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Perciò a Valinor, fin dai primi tempi della permanenza degli Elfi, divenne consuetudine che gli Dèi facessero ricorso a tale lingua per conversare con gli Elfi, e gli Elfi delle diverse stirpi per conversare tra loro; e per molto tempo quella lingua fu impiegata soprattutto nelle iscrizioni o negli scritti di sapienza o di poesia. Così un’antica forma di parlata Lindarin si fissò presto, salvo alcune successive adozioni di parole e nomi da altri dialetti, come lingua dei discorsi elevati e della scrittura, e come parlata comune a tutti gli Elfi; e tutto il popolo di Valinor apprese e conobbe quella lingua. Gli Dèi e gli Elfi la chiamarono “lingua elfica”, cioè Qenya, e tale è il suo nome attuale, sebbene gli Elfi la chiamino anche Ingwiqenya, specialmente nella sua forma più pura e più alta, e anche tarquesta, alta lingua, e parmalambë, la lingua dei libri. Questo è il Latino elfico, che è perdurato e che tutti gli Elfi conoscono, anche quanti si trovano ancora nelle Terre Interne. Tuttavia il linguaggio degli scambi quotidiani tra i Lindar non è rimasto come il Qenya, ma si è evoluto da esso, sebbene molto meno di quanto abbiano fatto il Noldorin o persino il Telerin rispetto alle loro lingue al tempo degli Alberi.

I Noldor, nel tempo del loro esilio, introdussero la conoscenza del Latino elfico nel Beleriand e, sebbene non l’abbiano insegnato agli Uomini, esso divenne in uso presso tutti gli Ilkorindi. I nomi degli Dèi furono conservati da tutti gli Eldar e impiegati principalmente solo nella forma Qenya, anche se gran parte dei Valar aveva titoli e appellativi, diversi nelle varie lingue, coi quali nell’uso quotidiano i loro nomi altisonanti erano solitamente sostituiti e raramente si udivano eccetto che nei giuramenti e negli inni solenni. Furono i Noldor che, nei primi tempi del loro soggiorno a Valinor, concepirono le lettere e le arti di inciderle su pietra o legno e di vergarle con pennello o calamo; difatti, per quanto la mente degli Elfi sia ricca di memoria, essi non sono come i Valar, che non scrivono e non dimenticano. Tuttavia molto tempo trascorse prima che i Noldor stessi redigessero libri nella loro lingua e, sebbene a quei tempi scolpissero e incidessero molte cose in monumenti e documenti, la lingua che usarono fu il Qenya, fino ai giorni dell’orgoglio di Fëanor.

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Ora, fu in questo modo che le parlate quotidiane di Lindar e Noldor si separarono. All’inizio, sebbene rimirassero e ammirassero la luce e la beatitudine di Valinor, gli Elfi non dimenticavano la Terra di Mezzo e la luce delle stelle da cui provenivano, e talvolta desideravano contemplare le stelle e passeggiare un poco nell’ombra. Per questo gli Dèi aprirono quella fenditura nella parete della montagna che è chiamata Kalakilya, il Passo di Luce. Gli Elfi vi ammassarono la verde collina di Kôr e costruirono la città di Tûn [> Túna] [nota a margine: Che gli Dèi chiamarono Eldamar.], e in cima alla città di Tûn [> Túna] era la bianca torre di Ingwë. Il pensiero delle lande della terra covava più profondo nei cuori dei Noldor, che in seguito vi fecero ritorno, ed essi dimorarono in quel luogo da cui potevano rimirare le ombre esterne, e tra le valli e le montagne intorno al Kalakilya era la loro casa. Ma presto i Lindar cominciarono ad amare più ancora i giardini degli Dèi illuminati dagli alberi e le loro piane ampie e fertili, e abbandonarono Tûn [> Túna], dimorando lontano e tornando di rado; e benché Ingwë fosse sempre considerato l’alto re di tutti gli Eldar e nessuno occupasse la sua bianca torre, eccetto coloro che tenevano accesa l’eterna lampada che là ardeva, i Noldor furono governati da Finwë e divennero un popolo a sé stante, occupato nella fabbricazione di molte cose e che si incontrava coi propri congiunti solo nelle occasioni in cui si recava a Valinor per banchetto o consiglio. I loro scambi erano piuttosto con i Teleri delle coste vicine che con i Lindar, e in quei giorni le lingue di Teleri e Noldor in qualche misura si ravvicinarono nuovamente.

Col trascorrere delle ere e l’accrescersi del numero dei Noldor, della loro abilità e del loro orgoglio, essi cominciarono a scrivere e impiegare nei libri la loro lingua, oltre al Qenya; e la forma in cui essa fu in principio redatta e conservata è l’antico Noldorin o Kornoldorin, che risale ai tempi della creazione delle gemme di Fëanor figlio di Finwë. Ma siffatto Noldorin non è mai diventato fisso, come il Qenya, ed è stato adoperato esclusivamente dai Noldor, e la sua scrittura si è modificata nel corso degli anni col mutamento della lingua e il variare degli strumenti di scrittura presso gli Gnomi. Per questo l’antico Noldorin, il Korolambë (lingua di Kôr) o Kornoldorin, oltre al suo cambiamento a causa del trascorrere del tempo, è stato alterato grandemente da nuove parole e dispositivi linguistici non originatisi a Valinor, né comuni a tutti gli Eldar, ma del tutto inventati dai Noldor. Lo stesso può dirsi di tutte le lingue dei Qendi, tuttavia nell’invenzione del linguaggio i Noldor erano i primi, e i più irrequieti di spirito, persino prima che Morgoth si aggirasse tra loro, sebbene in seguito molto di più, e sempre mutevoli nelle loro invenzioni. Il frutto del loro spirito comprese molte opere di straordinaria bellezza, ma anche gran copia di lacrime e un grande lutto.

Così a Valinor, prima della fine dei giorni della Beatitudine, v’era il Latino elfico, il Qenya scritto e parlato, che i Lindar composero per primi, sebbene non fosse lo stesso della loro parlata quotidiana; e v’era il Lindarin, la lingua dei Lindar; e il Noldorin, la lingua, scritta e parlata, dei Noldor (che nella sua forma antica si chiamava Korolambë o Kornoldorin); e la lingua dei Teleri. E su tutto dominava il Valya o Valarin, l’antica lingua degli Dèi, che non mutava con le ere. Ma tale favella veniva poco adoperata, se non tra essi nei loro sommi consigli, ed essi non la trascrivevano né incidevano, ed essa non è nota agli Uomini mortali.

[Lhammas A nel finale di questo capitolo risulta leggermente diverso:]

E su tutto dominava il Valya o Valarin, la lingua dei Valar, la lingua pura degli Dèi, che mutava poco nel corso delle ere (eppure cambiava, e più rapidamente ancora dopo la morte degli Alberi, perché i Valar non sono della terra, e tuttavia sono nel mondo). Ma a quella favella essi facevano poco ricorso, se non tra loro, perché con gli Elfi e quelli fra gli Uomini che la conoscevano parlavano il Qenya, e non scrivevano né incidevano alcun documento di quanto dicevano.

Tratto dal Lhammas, in La Strada Perduta e Altri Scritti, V volume della Storia della Terra di Mezzo

L’Albero delle Lingue (seconda versione, associata a Lhammas B)

-Rúmil

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