I CORNI DI YLMIR
[versione definitiva della poesia]
[nota sul manoscritto: 12-11-1910 riscri[tto] e rimaneggiato spesso. Forma attuale dovuta alla riscrittura e all’aggiunta di introd[uzione] e conclusione in una casa isolata vicino a Roos, Holderness (Thistle Bridge Camp), primavera 1917]
[annotazione a matita: “poema per ‘La Caduta di Gondolin'”]
I corni di Ylmir
da
“La caduta di Gondolin”
“In una canzone intonata al figlio Eärendel, Tuor rammenta le visioni che un tempo le conchiglie di Ylmir foggiarono dinanzi a lui al crepuscolo nella Terra dei Salici.”
Fu nella Terra dei Salici, ove alta è l’erba e verde,
ch’un vento invisto s’insinuò, e io dell’arpa toccavo le corde
e nelle cime degli alberi esso parlava, quando la voce delle canne
sussurri acuti mormorava, frattanto l’occaso i prati carezzava,
melodie intime di magia sommessa che le canne solo sapean tessere –
fu nella Terra dei Salici, ch’Ylmir una sera ecco sopraggiunse.
Al crepuscolo sul fiume, in vacui cavi di conchiglie
musica imperitura egli foggiava, sinché fui carpito al sortilegio
e fu il cuore nel vespro infranto, e i prati andarono a sbiadire
in alta acqua bigia ch’attorno agli scogli degli uccelli infuriava.
Gemere li udii attorno, ove i neri scogli torreggiavano alti
e primordia l’antica luce cerea tremolava nel firmamento.
In siffatta landa buia e perigliosa, nelle cui grandi vie impetuose,
in quei giorni antichi, mai avvertii suono di voci umane
seduto ai diruti margini d’un profondo mare echeggiante
la cui ruggente melodia spumosa s’infrangeva in eterna cadenza
[ > la cui eterna melodia ruggente s’infrangeva in spumosa armonia]
sulla terra assediata in perpetuo da ere d’assalti
e lacerata in torri e pinnacoli e scavata in vasti sotterranei;
e le sue volte scosse in boati e le radici di roccia in frantumi
strappati in un’antica guerra di mare da quei dirupi e promontori.
Ecco! Udii rimbombare [ > reboare] dietro la marea la tempesta d’assedio
e allo squillo di tromba dei primi venti, si levò il canto e lo strepito del mare ferrigno
e la sua bianca collera si ridestò, e le sue armate mossero in conflitto,
e s’abbatterono in ondate di cavalli al lido murato e immoto.
Là, la fortezza dal vento sferzata di quelle alte e vergini coste
respinse i primi sparuti esploratori delle antiche schiere marine;
respinse le bandiere irrequiete. che in braccia di tentacoli
avanti s’avvolgevano e strisciavano, frusciavano, suggevano e abbrancavano.
Allora dall’avanguardia sussurrante si levò un murmure sospiro,
frattanto, alle spalle, si raccoglievano torrenti e filava il guizzo del maroso,
sinché in verdi masse ondulate giunsero cavalli d’acqua dalla criniera spumosa,
una folle marea a calpestare la terra, e il loro canto di guerra s’alzò in fiamma irosa.
Enormi teste si scossero in collera e le loro cime erano torri di spuma
e il canto intonato dai grandi mari fu un canto di furia smisurata,
giacché in quell’immenso tumulto le trombe di Ossë suonarono fiere,
le voci del diluvio si fecero profonde e l’Alto Vento crebbe;
nell’inghiottire i marini venti mormoravano e fischiavano cavità profonde;
sul frastuono spuma e grossi zampilli candidi strepitavano striduli;
tempeste spiravano le amare trecce del mare sul volto scuro della terra
e brezze violente colme di spuma strattonavano in fuga vorticosa
di battaglia in battaglia, sinché dei mari tutta la possanza
attorno alle terribili ginocchia di Ossë in monte fu adunata,
e una cupola d’acqua urlante funestò le nere facciate goccianti
e le calamitose fontane s’abbatterono in cascate assordanti.
***

Allora udii l’incommensurabile inno dell’Oceano levarsi e calare
al cui organo s’alzavano il garrito dei gabbiani e il tonante mareggiare;
udii il basso tono delle acque e il salmodiare delle onde
le cui voci giungevano eterne e s’intrudevano rombanti in spelonche,
ove una perenne fuga d’echi sciabordava sullo scoglio madido
e si levava e mischiava all’unisono in un sibilante rumorio;
era una musica di somma intensità che s’agitava nel profondo,
e tutte le voci degli oceani s’adunavano a quel rimestio.
Era Ylmir, Sire delle Acque, che dalla mano quietante
foggiava armonie indomabili, cui il mare ruggiva obbediente,
così le acque si ritrassero e la Terra rialzò le spalle lucenti
ignude nell’aere, nubifragi e piogge battenti,
sinché gli sciabordii e il perpetuo gorgo di verdi vortici
furono ciò che giunse al mio ermo scoglio, salvo i garriti celesti
di uccelli marini ormai obliati e di antiche ali il battito.
Così il sussurrante torpore mi condusse tra ciò che è remoto
In una landa tetra e solinga, nelle cui antiche vie confuse
in quei giorni antichi, mai avvertii suono di voci umane
quando il mondo vacillò nel tumulto frattanto che i Grandi Dèi la Terra laceravano
nell’oscurità, nella tempesta dei cicli avanti al nostro avvento,
sinché le maree si spensero, il Vento perì, e cessò la melodia del mare
[ > sinché le maree si spensero, il Vento cessò, e perì la melodia del mare]
e a silenti caverne mi ridestai, e desolate sabbie e pace.
Allora la magia m’abbandonò e quella musica svolse le sue bande,
lontano, lontano, conchiglie chiamavano…Ecco! Ero nelle dolci terre,
e i prati tutt’attorno erano ove i salici piangenti crescevano,
ove l’erba alta accanto mi si rimestava, e di rugiada i piedi m’inzuppava.
Il fruscio delle canne era soltanto, ma una foschia calava sui ruscelli
una bruma marina tratta nell’entroterra, del mare onirico i brandelli.
Fu nella Terra dei Salici che udii l’alito sconosciuto
dei Corni di Ylmir, il richiamo, che udirò sino al mio trapasso.

Tratto dall’Appendice al Qenta Noldorinwa, in La Formazione della Terra di Mezzo
Traduzione italiana di Stefano Giorgianni e Edoardo Rialti
-Rúmil