L'EVOLUZIONE DELLA LEGGENDA - I. Poesia dalla History of Middle Earth [20] Sea Chant of an Elder Day

Canto marino di un giorno antico
[titolo antico inglese: Fyrndaga Sǽléoþ]

[mar. 1915 < dic. 1914 < 1912 ~ Essay Club marzo 1915]

già dal titolo

Le maree

[4 dic. 1914 ~ Sulla costa cornica]
[questa precedente versione conta 10 versi in meno rispetto al Canto marino]
[rispettivamente, seconda e prima versione della poesia I corni di Ylmir]

 

In una landa buia e perigliosa, nelle cui grandi vie impetuose,
in quei giorni antichi, mai avvertii suono di voci umane
seduto ai diruti margini d’un profondo mare echeggiante
la cui ruggente melodia spumosa s’infrangeva in eterna cadenza
sulla terra assediata in perpetuo da ere d’assalti
e lacerata in torri e pinnacoli e scavata in vasti sotterranei;
e le sue volte scosse in boati e le radici di roccia in frantumi
strappati in un’antica guerra di mare da quei dirupi e promontori.

Ecco! Udii rimbombare dietro la marea la tempesta d’assedio
e allo squillo di tromba dei primi venti, si levò il canto e lo strepito del mare ferrigno
e la sua bianca collera si ridestò, e le sue armate mossero in conflitto,
e s’abbatterono in ondate di cavalli al lido murato e immoto.
Là, la fortezza dal vento sferzata di quelle alte e vergini coste
respinse i primi sparuti esploratori delle antiche schiere marine;
respinse le bandiere irrequiete. che in braccia di tentacoli
avanti s’avvolgevano e strisciavano, frusciavano, suggevano e abbrancavano.
Allora dall’avanguardia sussurrante si levò un murmure sospiro,
frattanto, alle spalle, si raccoglievano torrenti e filava il guizzo del maroso,
sinché in verdi masse ondulate giunsero cavalli d’acqua dalla criniera spumosa,
una folle marea a calpestare la terra, e il loro canto di guerra s’alzò in fiamma irosa.

Enormi teste si scossero in collera e le loro cime erano torri di spuma
e il canto intonato dai grandi mari fu un canto di furia smisurata,
[giacché in quell’immenso tumulto le trombe di Ossë suonarono fiere,]
le voci del diluvio si fecero profonde e l’Alto Vento crebbe;
nell’inghiottire i marini venti mormoravano e fischiavano cavità profonde;
sul frastuono spuma e grossi zampilli candidi strepitavano striduli;
tempeste spiravano le amare trecce del mare sul volto scuro della terra
e brezze violente colme di spuma strattonavano in fuga vorticosa
di battaglia in battaglia, sinché dei mari tutta la possanza
[attorno alle terribili ginocchia di Ossë] in monte fu adunata,
e una cupola d’acqua urlante funestò le nere facciate goccianti
e le calamitose fontane s’abbatterono in cascate assordanti.

***

Allora udii l’incommensurabile inno dell’Oceano levarsi e calare
al cui organo s’alzavano il garrito dei gabbiani e il tonante mareggiare;
udii il basso tono delle acque e il salmodiare delle onde
le cui voci giungevano eterne e s’intrudevano rombanti in spelonche,
ove una perenne fuga d’echi sciabordava sullo scoglio madido
e si levava e mischiava all’unisono in un sibilante rumorio;
era una musica di somma intensità che s’agitava nel profondo,
e tutte le voci degli oceani s’adunavano a quel rimestio.

[Era Ylmir, Sire delle Acque, che dalla mano quietante
foggiava armonie indomabili, cui il mare ruggiva obbediente,]
così le acque si ritrassero e la Terra rialzò le spalle lucenti
ignude nell’aere, nubifragi e piogge battenti,
sinché gli sciabordii e il perpetuo gorgo di verdi vortici
furono ciò che giunse al mio ermo scoglio, salvo i garriti celesti
di uccelli marini ormai obliati e di antiche ali il battito.

Così il sussurrante torpore mi condusse tra ciò che è remoto
[In una landa tetra e solinga, nelle cui antiche vie confuse
in quei giorni antichi, mai avvertii suono di voci umane
quando il mondo vacillò nel tumulto frattanto che i Grandi Dèi la Terra laceravano
nell’oscurità, nella tempesta dei cicli avanti al nostro avvento],
sinché le maree si spensero, il Vento perì, e cessò la melodia del mare
e a silenti caverne mi ridestai, e desolate sabbie e pace.
In una landa assolata e amena, nelle cui antiche vie confuse
in quei giorni antichi, non echeggiava suono di voci umane.

 

***

Alla seconda versione di questa poesia, Tolkien allegò un testo, scritto a matita, che appartiene al racconto della Caduta di Gondolin, e che fu senza dubbio aggiunto all’epoca della stesura della storia (e della terza versione del poema, che presenteremo nel prossimo post), poiché il Canto marino non aveva attinenza con gli elementi della leggenda di Tuor e della mitologia. Per questo stesso motivo ho messo tra parentesi quadre nel testo della poesia, tutti i versi probabilmente frutto di interpolazioni successive (i riferimenti a Ossë e Ulmo > Ylmir; il riferimento ai “Grandi Dèi che laceravano la Terra”).

Riporto di seguito il testo a matita:

Questo è il canto che Tuor intonò per il figlio Eärendel quando gli Esuli di Gondolin dimorarono per qualche tempo in Dor Tathrin, la Terra dei Salici, dopo il rogo della loro città. Tuor fu il primo tra gli Uomini a scorgere il Grande Mare, ma guidato da Ulmo a Gondolin aveva abbandonato le rive dell’Oceano e nel traversare la Terra dei Salici si innamorò della sua beltà, scordandosi sia della propria missione che dell’antico amore per il mare. Allora Ulmo, signore di Vai, giunto col suo carro sottomarino, sedette al crepuscolo tra le canne del Sirion e suonò per lui il suo flauto magico di conchiglie. Da allora Tuor avvertì per sempre lo struggimento del mare e mai ebbe pace nel suo cuore se dimorava in luoghi ameni nell’entroterra.

 

{Ossë by Marya Filatova}

 

Tratto dall’Appendice al Qenta Noldorinwa, in La Formazione della Terra di Mezzo
Traduzione italiana di Stefano Giorgianni e Edoardo Rialti

 

-Rumil

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