Una grossa caffettiera era stata appena posata a terra, i pan di spagna erano spariti, e i Nani cominciavano un giro di brioche imburrate, quando si sentì bussare forte. Non uno squillo, ma un duro bum-bum sulla porta verde dello Hobbit.
«Sugli alberi, presto!» gridò Gandalf; e corsero verso gli alberi sul limitare della radura, puntando a quelli che avevano rami abbastanza bassi, o che erano abbastanza slanciati per arrampicarvicisi sopra. Li trovarono il più in fretta possibile, come potete ben immaginare; e salirono quanto più in alto glielo consentiva la robustezza dei rami.
Vicino alla caverna del signor Baggins, al suo paese, non viveva nessun lupo, ma egli conosceva quel rumore. Gli era stato descritto abbastanza spesso in vari racconti. Anzi, uno dei suoi cugini più anziani (del lato Tuc), che era stato un grande viaggiatore, era solito rifare quel verso per spaventarlo.
«Dobbiamo andare ancora avanti?» chiese Bilbo, quando fu così buio che poteva vedere solo la barba di Thorin ondeggiare accanto a lui, e la quiete era tale che perfino il respiro dei Nani gli pareva un forte rumore. «Ho i piedi storpiati e indolenziti, male alle gambe, e lo stomaco che mi balla come un sacco vuoto».
Furono gli alberi sul fondo che li salvarono. Essi slittarono oltre il margine di un bosco di pini cresciuti sulle pendici della montagna, risalendo dalle foreste più scure delle valli sottostanti. Alcuni si afferrarono ai tronchi e con un volteggio saltarono sui rami più bassi, altri (come il piccolo Hobbit) si misero dietro un albero per ripararsi dall’assalto furioso delle pietre.
Mentre avanzavano, Bilbo guardava di qua e di là in cerca di qualcosa da mangiare; ma le more erano ancora in fiore, e non c’erano nocciole, naturalmente, e neanche una bacca qualsiasi. Mangiucchiò un po’ di acetosella e bevve l’acqua di un torrentello che attraversava il sentiero, e sulla sponda trovò tre fragole selvatiche, ma non era certo un gran che.
«Ho una fame spaventosa!» si lamentò Bilbo, che all’improvviso si rese conto di non aver mangiato niente dalla notte precedente la notte che precedeva la notte prima. Pensate un po’ che cosa volesse dire per uno Hobbit! Adesso che l’eccitazione era passata, si sentiva lo stomaco vuoto e floscio, e le gambe che facevano giacomo giacomo.
Il buio aveva invaso tutta la stanza; il fuoco moriva lentamente, le ombre si smarrivano, ed essi suonavano ancora. E d’un tratto, mentre suonavano, cominciarono a cantare uno dopo l’altro: un canto roco di Nani che sembrava salire dai recessi delle loro antiche case; e questo è come un frammento della loro canzone, se canzone può esserci senza alcuna musica.
Ma lo stregone li richiamò alla realtà. «Dobbiamo rimetterci in cammino subito, adesso che ci siamo riposati un po’» disse. «Appena fa notte usciranno a centinaia per darci la caccia: e le ombre si stanno già allungando. Possono fiutare le nostre impronte ore e ore dopo che siamo passati.
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